Il golpe militare del Sudan improvvisamente mette in allarme le cancellerie mondiali. Eppure autorevoli fonti informative da tempo segnalavano questo rischio. Come sempre le fragili transizioni “democratiche” nei paesi africani, devono sempre fare i conti con le forze militari che nessun apparato civile controlla. La transizione in Sudan, dopo la cacciata di al Bashir, avvenuta nel 2019, aveva aperto lo spiraglio per lo sviluppo di una democrazia sudanese, da costruire, da sperimentare e da innestare in un paese che il destituito Al Bashir aveva spinto verso un’Islam integralista ospitando jhiadisti e terroristi tra cui bin Laden. Sua la responsabilità della guerra civile e delle violenze in Darfur.
La transizione verso democrazie di tipo occidentale non sono mai semplici, l’accordo di transizione raggiunto dalla societal civile capeggiata dal movimento delle Forze per la libertà e il Cambiamento (Fcl) sì è sgretolato anche sotto il peso della crisi economica che si stava aggravando, e dalla debolezza della componente civile chiamata al passaggio di potere dai militari.
Rispetto alla vicina Etiopia, dove è in corso una guerra e un genocidio nei confronti della popolazione tigrina, la comunità internazionale ha reagito in modo diverso. Più preoccupati dal golpe militare sudanese che dalla vera guerra che si sta consumando in Etiopia e che vede la presenza nel conflitto dell’Eritrea sostenuto anche dalle politiche di Erdogan che non lesina a fornire droni e aiuti militari al già premio Nobel per la Pace Abiy Ahamed.
Oseremo dire due pesi e due misure per due diverse crisi che, però, mettono in evidenza l’incapacità della comunità internazionale di intervenire in modo efficace nei conflitti regionali che possono propagarsi velocemente in questa area del Corno d’Africa, già esposto a carestie, terrorismo, povertà . Non dimentichiamo che tra l’Etiopia e il Sudan c’è sempre alta tensione nei confini a seguito della guerra nel Tigray.