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L’appello degli intellettuali panafricani per fermare la guerra in Etiopia

Pace in Etiopia

La Comunità Internazionale sembra sorda e poco propensa ad agire concretamente per costringere il governo Etiope a cessare le operazioni militari contro la regione del Tigré. Ci provano gli intellettuali africani con un appello al dialogo e alla mediazione. Si tratta di un appello veramente panafricano di oltre 50 dei principali intellettuali africani, tra cui Achille Mbembe, Boubacar Boris Diop, Godwin Murunga, Ato Seyki-Otu, Imraan Coovadia e Souleymane Bachir Diagne, chiedono la fine del conflitto in Etiopia.

La lettera è stata pubblicata in inglese, francese e amarico in una serie di pubblicazioni, African Arguments , Jeune Afrique e molti altri giornali e siti web. Qui una nostra libera traduzione perché riteniamo necessario mantenere l’attenzione su questo conflitto che rischia veramente di essere destabilizzante, oltreché per la popolazione tigrina, per l’intera regione.

La lettera degli Intellettuali africani

Scriviamo questa lettera come intellettuali africani preoccupati per il continente per la diaspora. Molti di noi hanno dedicato la propria vita professionale alla comprensione delle cause e delle potenziali soluzioni ai conflitti intra e inter-africani. Siamo sgomenti  per il costante deterioramento della situazione in Etiopia e per la mancata adozione di soluzioni su come risolvere i conflitti africani, così come indicato a più riprese dalle voci africane impegnate su questi contesti.

Siamo profondamente turbati dalla guerra civile in corso in Etiopia, che alcuni definiscono un conflitto interno regionalizzato, dato il coinvolgimento  dell’Eritrea . Notiamo con sgomento che i protagonisti del conflitto non includono più solo la Tigray Defence Force (TDF) e la Ethiopian National Defence Force (ENDF) insieme alle forze speciali di Amhara, ma ora includono anche l’Esercito di Liberazione Oromo da una parte, e dall’altro, forze speciali di diverse altre regioni, oltre a numerosi coscritti. Notiamo anche l’avanzata del TDF nelle regioni di Amhara e Afar, che, nonostante le affermazioni del TDF di cercare di consentire l’accesso alle catene umanitarie e di altro tipo, sta contribuendo all’espansione del conflitto in Etiopia.

L’Etiopia è di importanza continentale, non solo per la sua  resistenza  all’espansionismo imperiale europeo, ma anche per essere la sede dell’Unione Africana (UA), la nostra istituzione intergovernativa la cui mancanza di impegno effettivo sulla situazione in Etiopia che noi consideriamo  deplorevole. L’UA, i suoi stati membri – in particolare gli stati confinanti con l’Etiopia – non devono permettere all’Etiopia di dettare i termini del loro impegno nella ricerca della risoluzione di questo conflitto.

Condanniamo il fatto che il conflitto stia colpendo un numero sempre crescente di civili: i decessi, le violenze sessuali, i flussi di rifugiati, la fame documentata e i bisogni medici e psicosociali insoddisfatti, le segnalazioni di detenzioni illegali diffuse e mirate (soprattutto a causa dell’appartenenza etnica ), le sparizioni forzate e le torture in cattività. Condanniamo inoltre la distruzione delle infrastrutture fisiche e metafisiche in tutto il Tigray, così come in altre regioni dell’Etiopia, comprese le istituzioni di istruzione superiore, i luoghi di culto e il patrimonio culturale. L’Etiopia e i suoi popoli hanno sofferto abbastanza. L’Etiopia non può permettersi ulteriori distruzioni.

Tutti gli etiopi devono riconoscere che la soluzione deve essere  politica piuttosto che militare, e questo indipendentemente dalle  rivendicazioni e dalle contro pretese, legittime e non, su come l’Etiopia sia caduta in questa situazione. Le ingiustizie,  compreso il sequestro e il contro-sequestro di terre contese, e la detenzione di familiari di gruppi politici recentemente fuorilegge aumentano le tensioni, portando a cicli generazionali di violenza.

L’Etiopia è sul precipizio; dobbiamo agire. Invitiamo  quindi:

1) il  governo etiope e il governo regionale nazionale del Tigray a rispondere  positivamente ai ripetuti appelli al dialogo politico, anche con i gruppi colpiti e implicati nelle regioni di Amhara e Oromia;

2) il governo etiope e il governo regionale nazionale del Tigray  facciano  un buon  uso positivo, in tale dialogo, così come richiesto dei numerosi intellettuali africani che hanno espresso le loro opinioni su vie d’uscita dal conflitto;

3) I paesi vicini ad esercitare la massima pressione sul governo etiope e sul governo regionale nazionale del Tigray affinché, nell’ambito dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD) e dell’UA, si sottopongano alla mediazione esterna di questo conflitto;

4) L’IGAD e l’UA ad assumere in modo proattivo i loro mandati per quanto riguarda la mediazione dei protagonisti di questo conflitto, e fornire  tutto il possibile sostegno politico al prossimo inviato speciale dell’UA per il Corno;

5) Il resto della comunità internazionale per continuare a sostenere tale azione dell’IGAD e dell’AU con le opportune  iniziative i per portare i protagonisti e tutte le altre parti interessate al tavolo, mantenerli lì e determinare una soluzione politica che porti a un dialogo nazionale più ampio su il futuro dello stato etiope.

6) Esortiamo tutti i leader e i gruppi civici etiopi a dimostrare la magnanimità e la visione necessarie per ricostruire un paese che ha già sofferto troppo a lungo. Chiediamo a qualsiasi soluzione politica negoziata di includere un processo di responsabilità pubblica per le atrocità di massa commesse in tutta l’Etiopia. La storia dello Stato africano attesta l’efficacia di un percorso alternativo impegnato per la verità, la pace, la giustizia e la riconciliazione.

Seguono  le firme

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