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Guerra in Etiopia, i silenzi e le responsabilità dell’Italia

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E’ passato un anno dall’offensiva militare del Premio Nobel per la Pace 2018, Abiy Ahamed Alì, contro la regione del Tigrè, con l’obiettivo di ridimensionare e controllare quella porzione del territorio governato dal TPLF dichiarato, poi,organizzazione terroristica. Un calcolo sbagliato, un calcolo azzardato che ora, dopo la sostanziale sconfitta sul campo, mette a repentaglio l’integrità territoriale dell’Etiopia, un paese determinante per garantire stabilità nel problematico Corno d’Africa.

Un conflitto passato quasi sotto traccia nella politica e in parte nei media. Sono state poche le testate giornalistiche italiane che hanno dato spazio e risalto alla guerra etiope, con informazioni di quanto avveniva realmente sul campo. Tra queste si è distinta la testata giornalistica on line  Focus on Africa della direttrice Antonella Napoli che ha potuto contare sul lavoro puntuale e preciso di vari giornalisti tra cui Davide Tomasin.

Eppure l’Italia, che vanta legami stretti con il suo passato coloniale e con il quale non abbiamo ancora fatto i debiti conti, non ha mai preso posizione sulla guerra di “vendetta” contro i tigrini. Governo silente come pure muto il Ministro degli Esteri.  Gli stessi governi che si sono avvicendati nel corso di questo ultimo anno, non hanno mai ritenuto opportuno assumere nessuna posizione sul conflitto etiope ne, tanto meno, fare pressioni sul governo di quel paese anche in relazione alle documentate violenze genocidarie ampiamente dimostrate e documentate.

Un comportamento sordo e cieco. In genere gli ex paesi coloniali mantengono  elevata  l’attenzione   con le ex colonie, non è così nel caso dell’Italia, che sembra voglia dimenticare o disconoscere le responsabilità storiche della nostra presenza coloniale.

Le ultime notizie sono drammatiche che non lasciano presagire nulla di buono. Il fronte tigrino del TPLF è alle porte di Addis Ababa, Abiy Ahamed ha  attivato lo stato di emergenza chiamando la popolazione ad armarsi per respingere le forze armate tigrini e i gruppi armati Oromo, che si trovano a pochi centinaia di km dalla capitale.

Comunque andrà,  la situazione non potrà che peggiorare per le popolazioni, per la credibilità dell’attuale governo , per la possibile frammentazione e guerra civile. Senza dimenticare il ruolo che eserciteranno le altre potenze regionali che fin qui hanno sostenuto con la fornitura di armi, droni, aerei utilizzati per assediare e bombardare la regione del Tigrai.

Questa guerra  è anche conseguenza della indifferenza,  e del mancato ruolo della comunità Internazionale ivi compresa L’Unione Africana che ha la sua sede proprio ad Addis Ababa. Da un Premio Nobel per la Pace ci si doveva aspettare altro e non il ricorso alle armi per risolvere dispute politiche e di potere.

L’Italia non ne esce bene, né   dal punto di vista politico né dal punto di vista dell’immagine. Nonostante le sollecitazioni fatte pervenire da parte delle organizzazioni della società civile e della diaspora etiope, per favorire un cessate al fuoco attraverso una pressione diplomatica ferma e decisa, si è preferito sostenere, senza mai dichiararlo, la posizione di Abiy Ahamed, convinti che la soluzione militare sarebbe stata rapida e indolore.

Oggi siamo difronte al concreto rischio di dissoluzione dell’Etiopia, cerchiamo almeno di salvare il salvabile pretendendo il libero accesso degli aiuti umanitaria nel Tigray, la fine dei bombardamenti aerei, e spingere le parti ad una de-escalation.

 

 

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