All’età di 86 anni il grande sassofonista Manu Dibango ha ceduto alle difficoltà respiratorie provocate dal coronavirus.
Manu Dibango, nato in Camerun nel 1933, si è trasferito in Francia per continuare gli studi in una scuola privata, nel 1949. Durante la permanenza in Francia, negli anni Cinquanta, è stato introdotto al jazz e blues dal compatriota Fancis Bebey e ha imparato a suonare il pianoforte, il mandolino e il sassofono. Dalla fine degli anni Cinquanta ha cominciato a lavorare come sassofonista nel circuito dei nightclub in Francia e in Belgio. Dagli anni Sessanta, il suo giro si è allargato all’Africa francofona e ha inciso e girato in tour con l’African Jazz di Joseph Kabasele.
Nel 1972, Dibango ha raggiunto fama internazionale con l’incisione di “Soul Makossa”, diventato un hit ballabile. La melodia trascinante, con il suo ritornello recitato da Dibango con rauca voce baritonale e con un beat funky, ha attratto l’attenzione dei fratelli Ertegun, proprietari della Atlantic Records, che hanno sponsorizzato per Dibango e il suo gruppo un tour americano, e poi pubblicato “Soul Makossa” per la loro etichetta.
La musica di Soul Makossa è interessante non solo per la fusione musicale sonora, che sfuma fortemente tra le sonorità disco e funk della musica leggera occidentale dei tardi anni Sessanta e dei primi Settanta, am per il senso di fusione evocato dal titolo, che è indice di un altro consapevole tentativo di far da ponte tra terminologie della musica leggera occidentale e africana, in questo caso ovviamente dal soul e del makossa, nome di una danza ritmata della regione di Douala del Camerun.
Il primo album di Dibango, dei primi anni Sessanta, si chiamava African Soul e la sua canzone “Twist à Leo (Twist a Leopoldville) è solo una delle numerosi versioni africane del twist di quei temi. Soul Makossa è tra i primi casi di queste fusioni a registrare uan così ampia fama e attenzione internazionale.
Estratto concesso dalla Biblioteca dell’Africa del libro “Musica dell’Africa Nera” di Leonardo D’Amico e Andrew L. Kaye, L’Epos editore , 2004.
Discografia minima