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Stranieri Ovunque/Foreigners Everywhere

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Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere

Sono passati 4 mesi dall’inaugurazione della sessantesima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, che si concluderà col 24 novembre.  Il curatore Adriano Pedrosa, brasiliano, spiega che l’espressione Stranieri Ovunque  ha piuÌ€ di un significato. Innanzitutto, vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si eÌ€ sempre veramente stranieri».

Una esposizione che mette al centro la migrazione e la decolonizzazione.

Ciò su cui si concentra Pedrosa, quindi, non è un concetto di estraneità limitato all’elemento geografico, culturale o etnico, ma piuttosto qualcosa di ancora più pervasivo e profondo: è straniero l’artista queer che non si identifica con il genere assegnato alla nascita; è straniero l’artista popolare e autodidatta che trova spazi di espressione solo alla periferia del sistema artistico; proprio come l’artista indigeno che non si riflette nelle rappresentazioni della cultura dominante è straniero.

Pedrosa mescola queste storie di alterità all’interno di quello che lui chiama il Nucleo Contemporaneo della mostra, che include alcune finestre sull’arte modernista che il curatore chiama Nucleo Storico e che sono divise in sottosezioni dedicate all’astrazione, ai ritratti e agli artisti italiani della diaspora. Questa ampia panoramica si estende tra gli spazi del padiglione principale dei Giardini, la location tradizionale dell’evento, e gli spazi di una buona metà dell’Arsenale, un’ex armeria e un cantiere navale risalente al 1100

Ci sono molte opere di nuovi italiani o italiani di passaggio come la mozambicana  Bertina Lopes, che ha vissuto in Italia per cinquant’anni. C’è l’opera del ceramista camerunese Victor Fotso Nyie, che vive e lavora a Faenza. Ci sono le installazioni video dell’artista, regista e attivista Fred Kuwornu, talento emergente italiano nato a Bologna da madre italiana e padre ghanese. Ci sono artisti italiani nati in Brasile come Candido Portinari,  che avrebbe poi dipinto opere monumentali per la sede delle nazioni Unite, diventando uno degli artisti brasiliani più influenti.

Foreigners Everywhere sembra voler ricordare agli italiani che i movimenti delle persone verso il nostro paese hanno più storia di quanto alcuni politici amano ricordare e che questi “stranieri” hanno arricchito la cultura italiana.

C’è l’Africa in relazione a se stessa, e non all’altra, come nell’autoritratto di Uche Okeke in cui l’artista si rappresenta su uno sfondo di indaco nigeriano, un riferimento all’antica pratica della tintura indaco e una speranza per una nuova Nigeria. C’è anche molta diaspora africana con opere, come quelle dei giamaicani Barrington Watson e Osmond Watson, che trasmettono tutta la ricchezza e la complessità estetica dell’esperienza di Patwah. La galleria sembra una pagina di un libro di storia dell’arte scritto nel Sud globale.

Altrettanto complessa è l’esperienza di uno dei territori del mondo ancora sotto il potere coloniale, Porto Rico, a cui è dedicato un focus tematico curato da Pablo Delano che, nel testo introduttivo, spiega che la situazione attuale dell’isola caraibica è un simbolo di quello status di essere straniero nella propria terra caratterizza che la storia dei territori colonizzati.

All’ingresso della parte Arsenale della mostra, c’è un astronauta di Yinka Shonibare che, con una rete piena di rifiuti sulla spalla, sembra pronto a partire per un viaggio, magari lasciando la Terra. Dietro di lui, l’insegna al neon, Stranieri Ovunque, sottolinea come le nostre definizioni di straniero siano in movimento e che nel mondo di domani, il nostro bagaglio intorno all’identità potrebbe trasformarsi in un bagaglio di rifiuti.

 

Le migrazioni transnazionali, in particolare quelle che attraversano il Mediterraneo, sono anche al centro di The Mapping Journey Project dell’artista franco-marocchino Bouchra Khalili, una serie di otto video in cui la telecamera incornicia una mappa su cui una mano disegna i percorsi tortuosi e pericolosi percorsi dai migranti che attraversano il Mediterraneo.

Concludiamo utilizzando  le parole della giornalista Maurita Cardone di Art Africa:

” L’identità è transitoria, cambia nel corso della vita e della storia e ti troverai su diversi lati della parola straniero, come hanno fatto gli italiani. Credo che ciò che possiamo trarre da questa mostra sia che l’identità è anche composta da un’alterità che si annida nel cuore stesso dell’identità, non solo ai margini. Che siamo stranieri rispetto all’illusione o alla presunzione di un’identità “forte”, e che quindi siamo tutti stranieri perché siamo tutti varianti, siamo stranieri nella misura in cui c’è un’identità dominante, che c’è una norma.

La mostra ci invita ad entrare in un universo dove questa norma non esiste. Un mondo in cui nessuno è un estraneo. Quindi forse questa mostra non è ancora un’altra mostra di arte dell’identità, ma è una mostra che ci invita a immaginare un futuro oltre l’identità. L’identità è il fucile e, per disarmare coloro che la prendono, dobbiamo creare un mondo in cui ciò che conta siano l’espressione (i diversi linguaggi artistici, dal figurativo all’astratto, che la mostra ci porta attraverso) e il contenuto (migrazione, questioni di genere, marginalità culturale, rimozione delle culture indigene, tutti i fenomeni che la mostra analizza tra contemporaneità e storia), dove l’identità non è altro che forma.”

 

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