“L’uomo in catene” La condizione dello schiavo è la negazione dell’essenza umana, poiché riduce l’individuo allo stato di mera forza lavoro. Così esordiva Adricno Ossola, curatore di èStoria 2016 a Gorizia. Tra gli ospiti anche Yacoub Diarra collaboratore e attivista dell’IRA Mauritania (Initiative for the Resurgence of the Abolitionist Movement), il movimento di opposizione guidato da Biram Dah Abeid, liberato solo recentemente dal governo mauritano.
Il suo intervento ha portato alla luce, al dominio pubblico la situazione disastrosa in cui vivono i neri mauritani, fatti letteralmente schiavi dai ricchi “padroni” arabi. qui la schiavitù è ancora quella antica : la proprietà fisica di un uomo, disporre del suo destino e della sua vita, di ciò che è, fa, pensa. Qui si diventa schiavi nel momento in cui si nasce da una schiava.
La Mauritania
Forma di Governo: Repubblica
Superficie: 1 030 700 kmq
Popolazione: 3 537 368 ab. (cens. 2013)
Densità: 3,43 ab./kmq
Capitale: Nouakchott 958 399 ab. (2013);
Indice di sviluppo umano: 0,487 (161° posto)
La schiavitù
Popolazione ridotta in povertà: 42% del totale. Popolazione ridotta in schiavitù: 53.000 persone, pari all’1,06 %; Etnie maggiormente colpite: Haratin o Mori neri e Afromauritani (etnie di origine non araba). 23.000 Matrimoni forzati cui si associano, nel 35% dei casi, la pratica della leblouh o sonda gastrica, ovvero l’alimentazione forzata nelle bambine e nelle adolescenti nell’imminenza del matrimonio; la pratica della Maslaha o matrimonio di parentela, in forte aumento, che trova giustificazione nel tentativo di sottrarre le bambine e le ragazzine al pericolo di stupro; e la pratica della siriya – matrimonio temporaneo – per le bambine che vengono date in spose a ricchi uomini sauditi in età prepuberale e respinte e indotte alla prostituzione, una volta raggiunta la pubertà o in caso di gravidanza.
43.000 individui costretti al lavoro forzato, il 42% dei quali costretto alle forme più pesanti di lavoro domestico o al lavoro nei campi.
Non ci sono stati casi di talibés, ragazzi che frequentano la scuola coranica, costretti a chiedere l’elemosina per le strade perché l’accattonaggio forzato è praticato soprattutto da neri mauritani, in modo particolare da ragazzi provenienti da famiglie a basso reddito nella comunità Halpulaar.
I Mori neri (Haratin) sono stati storicamente ridotti in schiavitù dai Mori arabi, i rulers, che non si sono fatti scrupolo di giustificare la schiavitù chiamando in causa l’Islam.
A causa del loro status, gli Haratin vivono emarginati e rimangono sotto il controllo diretto o indiretto dei loro padroni tradizionali per tutta la vita. La dipendenza psicologica insita nella schiavitù, inoltre, comporta non raramente un legame così forte tra padrone e schiavo da ostacolare gli sforzi che si prefiggono di sradicare la mentalità che considera accettabile la schiavitù. La mancanza di istruzione e di conoscenza della vita al di fuori della servitù, aggravata dalle frequenti crisi alimentari dovute alle condizioni climatiche estreme che caratterizzano la Mauritania, costringe i lavoratori asserviti ad accettare la propria condizione e a non cercare lavoro al di fuori della casa o azienda del loro padrone.
Nella comunità Haratin estremamente vulnerabili sono i bambini e gli adolescenti, maschi e femmine, l’80% dei quali non frequenta la scuola sebbene essa sia gratuita e garantita dalla costituzione. In alcuni casi, inoltre, mancando la registrazione dell’atto di nascita, ai bambini e agli adulti è negata la tutela dei diritti basilari, come l’accesso all’assistenza sanitaria e ai servizi educativi essenziali così come, in futuro, la capacità di esercitare il diritto di proprietà e di altri diritti, come l’accesso ad un lavoro tutelato e legalmente regolato.
Pur essendo stata abolita nel 1981, in Mauritania la schiavitù è divenuta reato solo nel 2007, mentre molto più tardi – con la riforma costituzionale del 2012 – è stata dichiarata “crimine contro l’umanità”.
Una legge del 2003 vietava tutte le forme di tratta, ad eccezione della schiavitù ereditaria, stabilendo pene dai 5 ai 10 anni di reclusione per le violazioni. Una nuova legge anti-schiavitù del 2015, infine, ha portato da 10 a 20 anni di reclusione la pena per il reato di schiavitù.
Nonostante i numerosi interventi legislativi in materia, il fallimento deliberato e sistematico, da parte del governo centrale e locale, di ogni tentativo di far rispettare le leggi in vigore permette che lo sfruttamento dei cittadini continui praticamente impunito.
In tempi recenti, il governo del paese ha assunto ulteriori misure per fronteggiare la situazione. E’ stata istituita l’Agenzia Nazionale per la lotto contro le vestigia della schiavitù, per l’integrazione e contro la povertà (2013); nel 2014 il piano è stato formalmente adottato ed è stato istituito un tribunale speciale per perseguire il crimine della schiavitù, ma non sono state raccolte prove che il tribunale abbia perseguito alcunché. Nel 2015 il governo ha istituito nuovi tribunali speciali con il compito di documentare nuovi casi di schiavitù, ma anche in questo caso non è stato possibile documentare l’efficacia della loro azione.
Ora più che mai, si rende necessario da parte del governo del paese avviare l’opera di sensibilizzazione e formazione delle forze dell’ordine e della magistratura per combattere la cronica ignoranza delle leggi anti-schiavitù, e contro l’accettazione della tratta e della schiavitù istituzionalizzata da parte di molti membri della società. Per ora il governo ha avviato alcune iniziative di sensibilizzazione sul problema, come trasmissioni televisive di dibattiti pubblici e seminari sul tema e la collaborazione con l’OIM (Organizzazione Internazionale per le migrazioni) per l’organizzazione delle attività di sensibilizzazione sulla tratta degli esseri umani e sul traffico dei migranti.
Un’azione decisiva nella sensibilizzazione della popolazione nei confronti del problema della schiavitù, a partire dal 2014, è stata quella condotta dall’attivista Biram Dah Abeid. Fondatore dell’IRA (Iniziativa per la rinascita del movimento abolizionista), nel 2014 si è candidato alle presidenziali, attirando l’attenzione sul problema. La reazione del Presidente della Repubblica è stata un ulteriore giro di vite contro il movimento che ha condotto all’arresto di Biram e di altri otto attivisti, in seguito liberati. Successivamente la repressione si è aggravata e nel 2015, Biram e altri due suoi compagni di lotta sono stati arrestati e condannati al carcere, dopo un processo sommario. E’ stata necessario il ricorso alla Corte Suprema della Mauritania perché la sentenza fosse annullata e Biram liberato, dopo un anno e mezzo di carcere, il 17 maggio 2016.