MONUSCO subentrata a MONUC, la missione più grande e dispendiosa dell’ONU
dopo 14 anni sta ancora lottando per la sua credibilità. La forza di Pace delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo, dispone di un budget di 1,5 miliardi di dollari l’anno per impiegare 20.000 soldati e civili non è stata ancora in grado di fermare gli scontri e le scorribande dei guerriglieri nel nord del Paese.
Le forze di pace sono state accusate di stare a guardare e senza intervenire. In numerose occasioni, come quella messa in atto dai ribelli del movimento 23 Marzo sostenuti dal Rwanda, quando hanno conquistato, lo scorso mese di novembre, per 10 giorni la città di Goma. La missione poi è stata accusata di mescolare i confini tra le attività militari e umanitarie e di non aver garantito a sufficienza la protezione della popolazione civile ne tantomeno a favorire il ristabilimento dell’autorità dello Stato.
La missione MONUSCO e il suo predecessore, Monuc, non hanno mai avuto un compito facile. Iniziata nel 1999 come una missione di osservatori si è trovata a guardare la cupa realtà di un conflitto conosciuto come “guerra mondiale” di Africa, dove nove paesi e numerosi gruppi di ribelli erano/sono uno contro l’altro. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha per questo allargato la missione ampliandone il mandato con il compito di garantire il successo delle prime elezioni democratiche del Congo nel 2006. Ma Monuc spesso è rimasta senza “denti” a seconda della situazione: durante le elezioni per garantire Kinshasa è stata chiamata l’Unione Europea . La missione Monuc non è stata nemmeno in grado di impedire l’assedio di Bukavu dai comandanti ribelli nel 2004 o contrastare le minacce poste dalla milizia ruandese FDLR o Congresso Nazionale di Laurent Nkunda per la difesa del popolo congolese (CNDP).
Il Congo ironicamente è etichettato come un paese post-conflitto, solo perché nel 2006 si sono svolte le elezioni “democratiche”. Ma l’insicurezza permane con i continui attacchi dei ribelli nella parte orientale del paese, possibile grazie anche al mal concepito intervento della comunità internazionale culminata, nel 2010, nella transizione da Monuc a MONUSCO, a seguito di crescenti critiche internazionali e minacce di espulsione della missione da parte del presidente Joseph Kabila. Durante seconde elezioni del paese nel 2011, MONUSCO ha assistito ad un aumento delle attività di gruppo armato nel Congo orientale e la successiva creazione dell’ M23.
Dopo la caduta di Goma, sono fioriti gli acronimi delle varie iniziative promosse dalla comunità internazionale. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha posto la creazione di un Neutral Internazionale Force (NIF), ha istituito la Conferenza internazionale regionale della Regione dei Grandi Laghi (ICGLR). Nella sua più recente risoluzione RDC, l’ONU ha istituito una Force Intervention Brigata (FIB), il cui mandato è di “neutralizzare” i gruppi armati. Nel frattempo, la pace, la sicurezza e la cooperazione quadro (PSCF), ha definito il primo accordo internazionale promettente, firmato dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, che ha nominato l’ex presidente irlandese Mary Robinson, come inviato speciale per il territorio.
Contro ogni previsione, MONUSCO ha segnato alcuni successi ma anche errori di protezione imperdonabili per non aver offerto la protezione alla popolazione sotto attacco dei miliziani. Per proteggere i loro figli le madri non hanno esitato a gettarli oltre le recinzioni di protezione di una base MONUSCO per salvarli. Anche di fronte a queste situazioni negative gli esperti concordano che anche senza questa insicurezza della missione Onu nel Congo sarebbe peggio. Le pubbliche relazioni non sono mai stati tra i punti di forza della missione di pace, spesso regna la confusione si confonde azione militare e intervento umanitario. Sul piano militare la preoccupazione sembra essere concentrata sulle ricompense monetarie piuttosto su come affrontare i rischi connessi. A peggiorare le cose , MONUSCO ha difficoltà a trattare con lo Stato dato anche l’ambiente restio a processi di riforma indispensabili per pacificare tutta l’area. Fondamentale per il capo missione Martin Kobler, tedesco che recentemente ha sostituito, dopo un solo mese, Roger Meece, fare pressioni sul governo della RDC per assicurare la credibilità delle imminenti trattative tra lo Stato, i partiti di opposizione e la società civile. Nonostante i vincoli diplomatici, ci sono poche alternative per una seria riforma del settore della sicurezza e del disarmo, con la smobilitazione e reintegrazione dei vari combattenti. Gli attuali sforzi, come la digitalizzazione dell’esercito per la corretta retribuzione e un nuovo programma di disarmo, completo (come indicato da indiscrezioni provenienti da New York e Kinshasa) funzionano solo se accompagnati da un forte peso politico.
Con più di 40 gruppi di ribelli armati che operano nella RDC orientale, la maggior parte di loro piccoli e confinati a livello locale, di cui l’M23 e la FDLR sono la punta di un iceberg, l’attuale approccio carota/bastone delle Nazioni Unite è defunto. Non ci sono né carote né bastoni: i primi sono immorali (es. amnistia per i criminali di guerra) o irrealistici (ad esempio i colloqui di pace di successo in un prossimo futuro). Sul lato dei bastoni, la nuova “brigata intervento” deve ancora fornire la prova di essere all’altezza delle aspettative senza essere troppo di parte nel suo sostegno per l’esercito governativo. Dopo una pausa di tre settimane, alla fine di agosto si sono di nuovo scontrati i guerriglieri dell’M 23 con l’esercito con bombe cadute in Congo e Rwanda. I due paesi si accusano a vicenda di violare la sovranità territoriale provocando il caos per una guerra di propaganda quale evoluzione del campo di battaglia. L’ONU che attribuisce il bombardamento all’M23 ha ordinato la prima partecipazione della brigata intervento alle ostilità il 23 agosto, sparando sulla M23 sulle posizioni a nord di Goma. Ciò ha anche provocato massicce manifestazioni anti-MONUSCO. Dal 28 agosto, M23 e FARDC sono stati coinvolti in nuovi e pesanti scontri, trascinando negli scontri la brigata di intervento, che ha subito la prima vittima, con l’esercito ruandese, che ha annunciato una reazione se il bombardamento su Gisenyi continuava. A seguito di questa presa di posizione della missione MONUSCO l’M23 ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale venerdì scorso e, per quanto fragili, ci sono indicazioni che l’articolazione delle Nazioni Unite e la missione in RDC potrebbero prendere il sopravvento. La missione MONUSCO per avere successo, dovrebbe trasformare le debolezze del passato utilizzando il suo peso politico unendo le forze con la società civile congolese. Per il nuovo capo Martin Kobler, inviato speciale Onu Mary Robinson, e altri, forse c’è ancora una finestra di opportunità
Christoph Vogel is a Mercator Fellow on International Affairs and a PhD researcher on the Democratic Republic of the Congo.
Traduzione a cura di Time For Africa