Come funziona il piano Ue da 32,3 miliardi in Africa per combattere l’emigrazione
A cosa si riferisce Grasso
Grasso sembra fare riferimento al Migration Compact, il contributo italiano a una strategia europea per il contenimento dell’immigrazione proveniente dall’Africa. Fu presentato ad aprile 2016 dall’allora governo Renzi alla Commissione europea e, in sintesi, proponeva di aumentare gli investimenti nei Paesi di origine del flusso migratorio, in cambio di cooperazione in materia di rimpatri, gestione delle frontiere, migrazione legale e sicurezza.
La Commissione europea ha in parte accettato le istanze italiane e a settembre 2016 ha presentato un nuovo Piano Europeo di Investimenti Esterni (EEIP) che si rivolge specificamente all’Africa e ai Paesi che fanno parte del “vicinato” europeo con l’obiettivo di promuovere investimenti sostenibili e di contrastare alla radice alcune cause del fenomeno migratorio. Si rivolge ai Paesi africani della sponda sud del Mediterraneo, ma anche dell’Est Europa, del Caucaso e di parte del Medio Oriente; la “politica di vicinato” dell’Ue è stata elaborata a partire dal 2004.
Quanto si spende e in quanto tempo
Il piano stanzia 32,3 miliardi di euro tra il 2014 e il 2020 e, nelle intenzioni della Commissione, dovrebbe rendere piu’ efficaci, piu’ mirati e piu’ organici gli investimenti – pubblici ma anche privati – nel continente africano e nei Paesi del “vicinato” europeo. Ma se è vero che a Bruxelles c’è un inedito picco di attenzione per l’Africa, e che parte del merito va sicuramente all’Italia, è eccessivo sostenere – come fa Grasso – che in precedenza la parola “Africa” non facesse parte del lessico europeo e che non ci fosse consapevolezza della necessità  di investire nei Paesi in difficoltà .
Proprio nel “vicinato” europeo del sud – Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente – erano già  previsti diversi investimenti anche negli anni passati. Per il periodo 2014-2020 oscillano tra i 7,5 e i 9,2 miliardi di euro – ricompresi nel totale di 32,3 miliardi sopra citato – e per il periodo 2007-2013 avevano superato i 9 miliardi. Il primo accordo tra la Comunità  Economica Europea e 18 e ex colonie africane dei suoi Stati membri, che avevano appena ottenuto l’indipendenza, risale poi addirittura al 1963 e fu firmato a Yaoundé, in Camerun. Alcuni contenuti della convenzione riprendevano quelli della quarta parte del Trattato di Roma stipulato nel 1957, quando questi Paesi erano ancora delle colonie. La Convenzione offriva una serie di vantaggi commerciali e un programma di aiuti finanziari per lo sviluppo e prevedeva anche misure di cooperazione tecnica e culturale.
Come funzionano i rapporti tra Africa e Ue
L’accordo creava delle istituzioni comuni:
- Il Consiglio dei ministri dell’associazione
- La Conferenza parlamentare dell’associazione
- La Corte di arbitrato.
Entrata in vigore nel 1964 è stata rinnovata nel 1969, alla scadenza della sua durata quinquennale, fino al 1975. Nel 1975 venne infatti firmata la convenzione di Lomè per regolare il partenariato economico Europa e Paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), che rimase in vigore fino al 2000. E dopo il 2000 è in vigore la convenzione di Cotonou, che regola principalmente l’aiuto allo sviluppo, il commercio, gli investimenti internazionali, i diritti umani ed il buon governo, con lo scopo dichiarato di ridurre ed infine eliminare la povertà . Di durata ventennale, e rinnovabile, anche la convenzione di Cotonou istituisce una serie di istituzioni comuni tra Africa ed Europa, in particolare: il consiglio dei ministri, il comitato degli ambasciatori e l’assemblea parlamentare comune. Di quest’ultima fa parte, ad esempio, l’ex ministro Cecile Kyenge in qualità  di vicepresidente. La convenzione pone poi anche le basi giuridiche e la disciplina per il finanziamento europeo ai Paesi ACP.
Tratto da AGI.IT