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Nord del Kivu in Congo fuochi di guerra

I combattimenti di questi giorni hanno convinto oltre un milione di persone a spostarsi in luoghi più sicuri. Ancora una volte questa moltitudine non trova pace. Da oltre due anni vivono nei campi profughi tra il Congo e il Rwanda e per l’ennesima volta  in balia delle forze armate, dei banditi, dei gruppi di guerriglia, che con la violenza cercano di conquistare  il controllo del territorio per poter poi trarne benefici economici a scapito di dei più che cercano di vivere con il loro lavoro nei campi.

 

Ancora una volta dobbiamo però registrare la debolezza delle missioni di interposizione dell’ONU. La missione MONUC, che conta 17 mila uomini, non è in grado di fare nulla se non assistere impotente agli scontri tra fazioni cercando, non si sa bene, di proteggere le vite dei civili o di proteggere le vite dei soldati chiusi nelle caserme.

 

Il gruppo ribelle che ha avviato questa escalation è quello di Laurent Nkunda che, per tutta una serie di ragioni sue e con l’appoggio discreto del Rwanda, ha deciso di non rispettare  gli accordi di pace,  dando via all’ennesima prova di forza.

 

In attesa degli sviluppi sulla situazione che, per il momento, appare calma, i Capi di Stato africani riuniti a Brazaville per il 6° forum africano sullo sviluppo sostenibile, attraverso Wangari Maathai, già premio Nobel per la Pace e ambasciatrice itinerante per le problematiche del bacino del Congo, sono intervenuti per condannare la violazione  l’accordo di Goma del 23 Gennaio 2008, che prevedeva , per l’eventuale risoluzione dei conflitti il non ricorso alla violenza.

 

Insomma la solita presa di posizione ufficiale che non sposta di una virgola la situazione. La questione di grandi laghi e dei conflitti da poco conclusi, non si è ancora stabilizzata. Troppe le interferenze, troppi gli interessi economici sulle risorse minerarie strategiche per il mondo “industrializzato”

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