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Non solo Gaza: sono 56 le guerre ancora attive

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Ucraina, Gaza, Sudan, Etiopia, Afghanistan, Siria, Repubblica Democratica del Congo, Colombia…. e così via . Sono 56 i conflitti attivi nel mondo, il numero più alto dalla seconda guerra Mondiale. I dati pubblicati dall’ultimo Global Peace index, predisposto come ogni anno dal think tank Insitute for Economics & Peace (IEP), ci dicono che i conflitti in corso hanno sempre più una componente internazionale, con 92 paesi coinvolti in guerre al di fuori dei loro confini.

Secondo lo studio, l’Europa, nonostante il conflitto tra Ucraina e Russia, è la regione più pacifica.  l’Eurasia è quella che aumenta maggiormente i propri livelli di pace grazie al miglioramento della situazione nel resto dei paesi dell’area. “Tutte le altre regioni stanno sperimentando un deterioramento dei loro livelli di pace, in particolare l’Africa sub-sahariana, con 36 paesi su 46 coinvolti in conflitti al di fuori dei loro confini, e il terrorismo jihadista in aumento nel Sahel.  Solo le isole Mauritius  non sono coinvolte in alcun conflitto interno o esterno”. Il Nord America è, però, quello che peggiora maggiormente l’indice a causa dell’aumento della criminalità violenta e della paura della violenza.

Michael Collins, uno dei direttori esecutivi di  IEP, sottolinea che queste tensioni mondialiricevono scarse attenzionie ricorda che il mondo è anche “distratto” da conflitti come quelli in Sudan o in Etiopia , in cui “molte persone muoiono, nel dimenticatoio dell’informazioneperò non se ne parla molto nella informazione”, denuncia. “È imperativo che i governi e le aziende di tutto il mondo intensifichino i loro sforzi per risolvere i numerosi conflitti minori prima che diventino grandi crisi”, chiede Steve Killelea, fondatore e CEO dell’IEP.

Dal punto di vista dell’impatto economico, IEP evidenzia  che il costo globale della violenza (guerre, scontri armati tra bande, ostilità a bassa intensità ecc) ammontava, nel 2023  a 17,5 trilioni di euro, il 13,5% del PIL mondiale. Più un Paese è violento maggiore sarà la perdita di vite umane, di instabilità che contribuisce alla perdita di produttività. Sempre dal punto di vista economico e sociale i paesi più pacifici, nell’ordine Islanda, Irlanda, Austria, dedicano il 3% del Più al contenimento della violenza, mentre i paesi più violenti ne dedicano il 30%. In questo modo sottraggono risorse preziose da investire nei settori socialmente più utili come sanità ed istruzione.

 

Libera traduzione di TFA dall’articolo di Alejandra Agudo, El Pais

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