Evidentemente i morti di terrorismo non hanno lo stesso peso. L’attentato di Mogadiscio del 17 ottobre che ha provocato 300 morti e oltre 500 feriti, non ha suscitato ne lo sdegno delle cancellerie europee, ne tanto meno del presidente Trump. Ma, quello ancora più grave , nemmeno un accenno di solidarietà e di sostegno, al già debole governo somalo e alla sua popolazione che, da anni, vive in una situazione di estrema precarietà e soggetta a continue violenze da parte di terroristi e delinquenti di ogni risma.
Certo la Somalia da qualche decennio è oggetto di violenze, di scontri, di terrorismo, di rappresaglie. Tutte condizioni che si ripercuotono sulle popolazioni che non sanno da che parte andare, da qui anche la voglia e la necessità di emigrare. Oltre a questo, se ci aggiungiamo anche le crisi alimentari e la fame, dovute in parte anche al cambiamento climatico, possiamo comprendere quale sia la situazione somala che, una comunità internazionale, degna di questo nome, dovrebbe invece contribuire a pacificare, a stabilizzare.
Al contrario, in Somalia si confrontano, in modo nascosto, attori stranieri che hanno tutto l’interesse a mantenere instabile questo Paese situato nella una zona strategica del Golfo di Aden, per il controllo delle rotte commerciali e del petrolio. Non dimentichiamo poi, che a Gibuti, che confina a nord con la Somalia, ci sono le basi americane, ora anche dei cinesi e dei turchi. Una presenza così massiccia di forze armate e forze “speciali” dovrebbe incutere timore agli eventuali terroristi o pirati anche nella vicina Somalia.
Quando padre Zanotelli ha lanciato la sua campagna “Rompiamo il silenzio sull’Africa” a cui abbiamo aderito, aveva e ha un senso. Di Africa si parla, certamente di più, il problema è che se ne parla ancora poco e spesso male.
Non possiamo nasconderci e continuare a mettere in primo piano la questione migranti senza conoscere le realtà che creano i presupposti dell’emigrazione.