Ci sembra utile la divulgazione dell’articolo di Sandro Orlando de Il Mondo, a sostegno di quanto andiamo sostenendo da tempo nel corso di incontri, dibattiti e articoli sulla stampa locale. L’Africa non è più la periferia della storia e in Africa si sta affermando una “borghesia” in grado di spendere e di attrarre nuovi investimenti.
Questa è anche la contraddizione del Continente. Le ricchezze non sono redistribuite in modo tale da ridurre le sacche di povertà urbana e rurale, mentre la classe politica corrotta continua a prosperare sulla pelle delle popolazioni. E’ probabile che fra non molto assisteremo nei vari paesi africani le manifestazioni di piazza che stanno scuotendo la Turchia, il Cile, Il Brasile.
L’articolo di Orlando ci sembra utile per capire il livello delle disuguaglianze e ingiustizie presenti oggi in Africa, per avere coscienza di come non possiamo essere complici della costante spogliazione dei diritti dei milioni di africani che vivono sotto la soglia della povertà nonostante le ricchezze e le risorse presenti nel continente.
Sandro Orlando de: il Mondo
Milano, 23 giu. Nel 2011 Franca Sozzani è stata nominata ambasciatrice della moda per l’Onu, inviata a Lagos, in Nigeria. La direttrice di Vogue Italial’ha ricordato di recente in un’intervista al Financial Times, e non deve essere stata una passeggiata: «Quando mi sono impegnata per l’Africa», ha detto, «ho capito che non potevo iniziare con la moda, dovevo iniziare con l’acqua. Questo era il primo problema». Del resto, ha aggiunto, «ci sono così tanti soldi in Nigeria, ma non c’è un posto dove spenderli». All’aeroporto il jet privato in cui viaggiava non è stato fatto atterrare, se non dopo un’attesa di mezz’ora: c’era troppo traffico. La pista era affollata di aerei di ricchi nigeriani che andavano a fare acquisti a Dubai, a sette ore di volo. «L’ho detto al presidente: avete bisogno di posti dove fare shopping». Due anni dopo qualcosa è cambiato.In quell’inferno umano che è Lagos, la capitale commerciale della Nigeria, l’agglomerato urbano più popolato del continente, con i suoi 20 milioni di abitanti, dei quali due su tre vivono in baracche, ha aperto i battenti uno showroom Porsche. Quasi contemporaneamente sono spuntati i cartelloni pubblicitari della Moët & Chandon, marchio che non ha bisogno di presentazioni in questa megalopoli che ospita il miliardario più ricco d’Africa, il cementiere Aliko Dangote, un imprenditore con un patrimonio personale tre volte superiore a quello di Silvio Berlusconi. Anche perché per tasso di crescita il mercato dello champagne in Nigeria è secondo solo a quello della Francia.
All’interno del Palms shopping mall, un moderno centro commerciale con una settantina di negozi e brand stranieri come Puma, Nokia, Swatch e Wrangler, realizzato nella penisola di Lekki (una sorta di Beverly Hills con le ville dei nuovi benestanti di Lagos), lo scorso febbraio ha inaugurato un suo store ancheHugo Boss. E ad aprile ha debuttato pure Ermenegildo Zegna, con uno showroom sull’isola di Vittoria, il quartiere finanziario della città, non lontano da Porsche.
La Nigeria, d’altra parte, è il Paese delle mille contraddizioni. La nazione africana con il più alto numero di miliardari (secondo la classifica di Forbes, tra i primi 40 ricchi del continente dieci vengono da qui), ma dove 100 milioni di abitanti su 170 vivono con meno di 1 dollaro al giorno, e senza l’elettricità, perché la rete è collassata. Che ha una delle aspettative di vita più basse del mondo, 47 anni, ma produce ogni anno più film degli Stati Uniti, rigorosamente in digitale. Saltando i circuiti delle sale cinematografiche, vengono distribuiti in forma di dvd sulle bancarelle di tutta l’Africa, riempiendo di denaro le tasche dei produttori di Surulere, la Cinecittà locale. Una destinazione che la Farnesina sconsiglia ai viaggiatori, a causa dell’elevata criminalità e del pericolo di restare coinvolti in riti sacrificali animisti. Ma che contemporaneamente è diventata una meta obbligata delle aziende del lusso. Come quelle dei jet privati: la canadese Bombardier, il terzo produttore aerospaziale del mondo, lo scorso autunno ha tenuto a Lagos un roadshow per presentare i suoi ultimi modelli. Perché la Nigeria è il primo mercato mondiale del settore dopo la Cina. L’anno passato i nuovi ricchi nigeriani che nel weekend portano le mogli nelle capitali europee a rifarsi il guardaroba, i cosiddetti «afropolitan» che giocano a golf e collezionano arte, hanno acquistato ben 150 jet privati, spendendo 6,5 miliardi di dollari. Anche i grandi motoscafi e gli yacht vanno a ruba. È per questo che a marzo i cantieri Sunseeker hanno portato a Lagos le loro imbarcazioni più prestigiose. Per l’occasione il centro della città è stato ripulito da borseggiatori, ladruncoli e venditori ambulanti. E anche il traffico ha assunto una parvenza d’ordine.
Questo boom economico è stato sostenuto da un decennio di crescita dei prezzi petroliferi. In Nigeria come in Angola, i primi due produttori di greggio del continente. A beneficiarne però è stata una ristretta elite di «mini-garchi», neologismo da oli-garchi, nuovi campioni dell’imprenditoria africana, che si sono arricchiti anche grazie alla corruzione. Nella classifica di Transparency International la Nigeria figura al 139esimo posto (su 167), l’Angola addirittura al 157esimo. Non a caso la donna più ricca d’Africa è Isabel dos Santos, la maggiore delle figlie del presidente angolano, al potere da oltre un trentennio. La ricchezza generata dal petrolio e le materie prime, osserva la Banca africana per lo sviluppo in un suo report, non ha in sostanza creato «quelle opportunità occupazionali che consentirebbero alla maggioranza della popolazione di condividerne i benefici», a differenza di quanto successo in Asia.
Eppure, è un fatto che nell’ultimo decennio il reddito pro capite in tutta l’Africa è cresciuto di oltre il 30%, quando nei precedenti vent’anni era sceso del 10%. Che gli investimenti esteri diretti sono più che triplicati (15 a 46 miliardi di dollari); il tasso di scolarizzazione è aumentato del 48%; le infezioni da Hiv sono crollate del 74%; le morti per malaria si sono ridotte di un terzo. Dunque se è vero che oggi nella fascia subsahariana del continente nero (escluso il Sudafrica) non esiste ancora una borghesia, ma solo qualche migliaio di nuovi ricchi, è anche vero che i trend di sviluppo lasciano sperare: perché l’Africa ha una popolazione molto giovane e urbanizzata e nelle grandi metropoli come Lagos e Luanda (Angola) i giovani con un livello di educazione e un reddito più alto cominciano a cercare brand di prestigio. «Il mercato del lusso in questa parte dell’Africa per ora è molto ristretto», commenta Claudia D’Arpizio, partner della società di consulenza Bain & Co., «ci sono dei flussi interessanti dall’Angola, la Nigeria e anche il Mozambico, ma riguardano persone che viaggiano per business, e fanno acquisti di lusso all’estero, uomini per lo più. Gli angolani ad esempio comprano molto in Portogallo e Spagna, i nigeriani a Dubai. È un target che interessa per ora i marchi di moda maschile e di orologi». Prada, per esempio, che ha un posizionamento nell’abbigliamento da uomo, ha annunciato una prossima apertura a Luanda. E anche Zegna forse arriverà qui e a Maputo (Mozambico). «Il problema però resta la mancanza di spazi destinati alla vendita», conclude la D’Arpizio. Insomma, le vie di negozi. Proprio quello che aveva sorpreso la Sozzani.