Gli Enti Locali nella Cooperazione Decentrata: materiali di studio per la conferenza regionale sulla cooperazione
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Premessa
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L’approccio economico alla cooperazione internazionale, tipico delle politiche di cooperazione allo sviluppo realizzate fino agli anni 90, è entrato progressivamente in crisi in quanto incapace di rispondere alle problematiche della povertà , e dell’ingiustizia sociale. Le nuove forme di pensiero scaturite a partire dal primo rapporto dell’UNDP sullo sviluppo umano, l’adozione dei Millenium Goals, unitamente alle esperienze innovative sviluppate dalla cooperazione italiana a partire dalla legge 49/87 e 68/93 istitutive della Cooperazione Decentrata (CD) che hanno anticipato le linee europee, hanno posto al centro della Cooperazione Internazionale la lotta alla povertà , i diritti umani, la governace con la chiara indicazione di un nuovo approccio multilaterale di cooperazione allo sviluppo umano.
L’emergere di questo nuovo multilateralismo, presuppone un ruolo centrale della CD che, per essere efficace, deve prevedere  la partecipazione e il coinvolgimento delle persone e delle comunità . La cooperazione decentrata quindi si inserisce a pieno titolo nel processo di ridefinizione delle moderne politiche di aiuto e che vedono nella stessa, l’espressione del principio dello sviluppo partecipativo
Alcuni nodi critici della cooperazione decentrata
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Nonostante l’investimento crescente da parte delle Regioni sia dal punto di vista legislativo (vedi leggi regionali ad hoc) che finanziario. Nel 2003 ammontava a circa 36 milioni di euro (fonte MAE) mentre , secondo le stime del Cespi[1], nel 205 i finanziamenti propri sono passati a 50 milioni.  Le risorse sono ancora scarse soprattutto se si confrontano con quelle messe a disposizione dalle Autonomie Locali spagnole che hanno stanziato, nel 2003 ben 321 milioni di euro. Anche per queste ragioni la legge sulla cooperazione nazionale ha ormai esaurito il suo compito e la stessa cooperazione decentrata così come era concepita e recepita all’interno degli strumenti legislativi ha la necessità di essere ripensata anche alla luce delle nuove strategie a approcci alle tematiche dello sviluppo.
In questi anni  la Cooperazione decentrata italiana, che è nata  e si è sviluppata all’interno della società civile, è stata attribuita agli Enti Locali che diventano i titolari delle azioni a scapito della società civile organizzata delle ONG e associazioni di volontariato internazionale. Anziché ricercare e identificare efficaci strategie per lo sviluppo endogeno e per la costruzione di relazioni tra comunità , si è preferito, per molti anni, cercare di affrontare la questione dal punto di vista giuridico e amministrativo per raccordare le politiche della DGCS con quelle delle Autonomie Locali.
Questo ha ritardato notevolmente sia l’evoluzione delle strategie di cooperazione con  l’adozione di una nuova legge più consona e adeguata alle nuove sfide imposte dalla globalizzazione e dalle crescenti ingiustizie planetarie, che la revisione del concetto di CD per renderlo più coerente allo sviluppo e al sostegno dei processi di partecipazione e solidarietà tra i popoli.
Lo dimostra il fatto che la CD oltre ad essere fragile e poco praticata è ancora, il più delle volte, ancorata ad una logica basata sull’autonomia che privilegia l’impostazione dei progetti promossi che meglio garantiscono l’autonomia dei proponenti. Mentre sarebbe opportuno sviluppare una strategia di CD basata sulle alleanze per unire le forze verso un obiettivo generale comune.
Si tratta dunque di passare da una CD di progetto ad una CD “multilaterale� in modo che tutti i soggetti locali possono contribuire con le loro competenze e specificità  costruire “reti� che diano  luogo a percorsi di sviluppo territoriale integrato.
In questo contesto di rinnovata CD l’Ente Locale diventa il punto di riferimento ed il garante istituzionale degli obiettivi, nell’ambito della CD, stimolando la condivisione di poteri, compiti e responsabilità tra gli attori locali, di concerto con quelli nazionali e sopranazionali. La riforma della Cooperazione prevista ora dalla legge delega, rappresenta un’opportunità anche per ridefinire il ruolo degli Enti Locali alla luce delle nuove politiche e strategie europee delle politiche di cooperazione
Nel recente Working Papers del Cespi sui nodi dell’evoluzione della cooperazione decentrata italiana, si evidenziano alcuni nodi critici a cui è necessario dare risposte coerenti in relazione al mutato scenario internazionale
·        Le Autonomie Locali dovrebbero sentire come una loro diretta responsabilità l’impegno nella cooperazione
·        Il  rapporto tra cooperazione decentrata con la politica estera e di coooperazione del paese.
·        Come articolare e specificare gli obiettivi collegati ai milleniom goals, in termini di cooperazione decentrata con riferimento all’adozione dell’approccio territoriale e processuale dello sviluppo.
·        Efficacia della CD che ancora oggi risulta essere troppo occasionale, frammentata e improvvisata e adozione di modelli conseguenti di tipo integrato.
·        Il  raccordo tra il ruolo delle Regioni nella CD, evitando nuovi neo-centralismi, per migliorare il rapporto tra Enti Locali e Province che spesso di pongono in alternativa al livello regionale.
La situazione regionale
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Fino ad le ricerche e i dati sulla cooperazione decentrata a livello nazionale sono state condotte per lo più da Cespi. Questi dati, nonostante la parzialità ci aiutano comunque a cogliere i problemi e i limiti della cooperazione decentrata nell’esperienza italiana. Per quanto riguarda la nostra Regione non ci sono ne ricerche ne studi specifici. Un vuoto da colmare.
Per questo la rilevazione che qui presentiamo è molto parziale, ma ci serve per capire, per lo meno il fenomeno CD regionale. I dati sono stati raccolti  sulla base dei progetti presentati a bando e dei partecipanti ai Tavoli regionali di coprogettazione in questi ultimi quattro anni, gli Enti Locali che svolgono attività di cooperazione decentrata sono 12 su oltre 200 presenti in Regione, così individuati: i Comuni di Udine, Monfalcone, Trieste, Casarsa, Codroipo, Tavagnacco, Fagagna, San Vito al Tagliamento, Gorizia, Budoia, le Province di Trieste e Udine. Non si sono presi in esame Comuni e Province la cui attività si manifestano solo con gemellaggi o donazioni.
Dalle prime risposte (o mancate risposte) su una indagine, effettuata in questi giorni sono emersi alcuni punti di riflessione.
Innanzitutto alcune Amministrazioni non hanno risposto (o perché non sufficientemente convinte dai progetti di cooperazione in essere o per mancanza del referente o per difficoltà nella realizzazione del progetto). Emerge in genere che gli Enti locali in materia di cooperazione hanno numerose difficoltà : innanzitutto nel disegnare e definirsi in un ruolo preciso e precipuo. Molto spesso il settore dei progetti è affidato a una persona (assessore o funzionario particolarmente interessato) non accompagnata da una struttura; la mancanza della persona o la sostituzione nella guida dell’Amministrazione fa sospendere se non chiudere i progetti in corso. In questo modo ogni evento individuale e personale rischia di bloccare il percorso che l’Ente stava seguendo.
In alcuni casi l’Amministrazione locale è inserita in una rete più ampia di soggetti che operano in un progetto e viene marginalmente coinvolta, almeno quando essa è proponente o comunque parte attiva.
La maggioranza degli EE.LL. sentiti non ha una esperienza consolidata nel tempo in materia, limitandosi di fatto ad interventi al massimo degli ultimi quattro o cinque anni.
Dalle risposte comunque ottenute si possono evidenziare due macro linee di intervento prescelte che definiscono due indirizzi e due corrispondenti metodologie di lavoro.
Queste due filosofie non corrispondono a criteri oggettivi come la grandezza dell’ente, la disposizione geografica o altro; sono invece criteri diversi di intervento nel settore in cui Comune o Provincia diventano a seconda dei casi o vero e proprio attore di cooperazione, nelle forme che andremo a vedere, o solo sostenitore di realtà già attive nel territorio.
Alcune Amministrazioni attuano una vera e propria politica di cooperazione che si articola su più livelli (soggetto proponente e/o partner) con un impegno attivo in termini di personale, di idee, di finanziamento e di proposte (anche se come detto prima senza continuità o stabilità ). Altre, la maggior parte, invece, sostiene progetti di cooperazione saltuariamente, senza esercitare un ruolo trainante: progetti occasionali non accompagnati da una vera scelta politica di attiva cooperazione. In genere si limitano ad avvalorare le realtà associative presenti sul territorio (Ong, Parrocchie o Enti religiosi, altre Associazioni) non intervenendo direttamente nel processo, ma sostenendo iniziative proposte da altri.
Recentemente si nota un particolare impegno di alcuni Enti che nei loro progetti tendono a inserire e a valorizzare la popolazione immigrata presente sul territorio: un passo importante che può avere notevoli sviluppi.
Scarsa tra gli Enti comuni intervistati comunque l’adesione a campagne nazionali o internazionali attinenti la cooperazione o iniziative tematiche come “tesorerie non armate� o “rete dei comuni solidali� o a reti attinenti alla cooperazione decentrata.
Da segnalare, infine, la situazione di un importante Comune, quello di Udine, che ha consapevolmente scelto di non avere alcun ruolo nella realizzazione o sostegno di progetti, circoscrivendo il suo ruolo nella promozione/pubblicizzazione sul proprio territorio delle realtà /proposte di cooperazione che altri soggetti attuano.
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Tre considerazioni generali finali:
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1.     Anche la motivazioni che spingono un’Amministrazione a scegliere un territorio o un determinato tema sono diverse tra di loro e rappresentano delle metodologie differenti di intendere il proprio ruolo: come si accennava prima, infatti, alcuni Enti Locali identificano una determinata area geografica grazie alla presenza della popolazione immigrata presente sul territorio, altri sono coinvolti da enti o associazioni che operano già in un settore o in una zona e chiedono un appoggio all’EE.LL., altri sono coinvolti in una rete molto ampia in cui mettono a disposizione contributi in personale e finanziari.
2.     Il cambio di Amministrazione rappresenta purtroppo uno degli ostacoli maggiori che si incontrano parlando di Enti Locali e cooperazione: accade spesso che la nuova Giunta non condivida le politiche di cooperazione intraprese dall’Amministrazione precedente e che lasci cadere il percorso intrapreso. Cambiano le figure di riferimento, a volte anche i funzionari che se ne occupano e si crea un vuoto che va ad incidere pesantemente sullo sviluppo e sulla riuscita del progetto.
3.     Per quanto concerne invece i finanziamenti richiesti dai comuni, oltre ai finanziamenti in proprio e a donazioni, i comuni si sono rivolti alla L.R. 19/2000.