L’80 per cento delle morti si concentra nell’Africa Sub-Sahariana e nell’Asia meridionale, dove più di un terzo dei neonati muore durante il primo mese di vita. In particolare, tra i Paesi in via di sviluppo, è la Sierra Leone a registrare il tasso più alto di morte tra i bambini: 270 ogni 1.000 nati vivi. Al secondo posto l’Angola con 260 morti, seguito a ruota dall’Afghanistan con 257. Quasi il 40 per cento di tutti i decessi sotto i cinque anni si verifica durante il periodo neonatale, a causa di una varietà di complicazioni come nel caso di gravi infezioni; seguono polmonite (19 per cento), diarrea (17 per cento) malaria (otto per cento), morbillo (quattro per cento) e Aids (tre per cento). "Per le tradizionali cause di morte dei bambini come le malattie infettive e la diarrea molto si è fatto grazie alle campagne di vaccinazioni proposte da Unicef negli anni ’80 e ’90 e grazie alla diffusione dei sali reidratanti per via orale – ha affermato Sclavi -. Purtroppo le infezioni delle vie respiratorie e la mortalità legata al parto, combinandosi con gli effetti della diffusa malnutrizione cronica e la malaria, continuano a fare strage di neonati e bambini".
Da qui la necessità, secondo l’agenzia Onu, di potenziare l’accesso ai servizi sanitari comunitari di base. "L’attenzione deve essere posta sulla fornitura di interventi chiave a livello di comunità, come parte di un impegno integrato per supportare la creazione di servizi sanitari nazionali più forti – ha affermato il direttore generale dell’Unicef Ann M. Veneman nell’introduzione del dossier -. E una particolare attenzione deve essere data ai bisogni speciali delle donne e delle madri". Dati alla mano, le donne che muoiono ogni anno per motivi legati al parto o alla gravidanza sfiorano il mezzo milione. Nei Paesi in via di sviluppo un quarto delle donne incinte non riceve nemmeno una visita medica prima del parto. Le bambine sotto i 15 anni hanno cinque volte più probabilità di morire per parto rispetto alle ventenni. I paesi dove è più alta la mortalità materna sono Niger (una probabilità su sette di morire), Sierra Leone e Afghanistan (una su otto); la più bassa è invece in Argentina (una su 530), Tunisia (una su 500) e Giordania (una su 450). "Nell’Africa Sub-Sahariana assicurare l’assistenza sanitaria alle madri per il 90 per cento vuol dire riuscire a salvare 800 mila bambini ogni anno", segnala Sclavi. Il dossier sottolinea anche le ricadute che i conflitti producono nella qualità della vita delle persone, bambini compresi. Attualmente oltre 40 paesi, il 90 per cento dei quali a basso reddito, sono coinvolti in conflitti.
In questo contesto, l’agenzia Onu sollecita alleanze comunitarie per combattere le morti dei bambini e ribadisce il suo impegno nel raggiungimento del quarto Obiettivo di sviluppo del Millennio, che mira a ridurre di due terzi, tra il 1990 e il 2015, il tasso globale di mortalità sotto i cinque anni ricorrendo a politiche mirate. Per riuscirci, l’Unicef suggerisce "di agire più in fretta su molteplici fronti": dal ridurre la povertà e la fame al migliorare la salute materna; dal combattere l’Hiv e l’Aids, la malaria e altre malattie all’aumentare l’utilizzo di fonti di acqua potabile e di servizi igienico-sanitari; dal fornire farmaci essenziali a basso costo al riesame delle strategie volte a raggiungere le comunità più povere ed emarginate.
I costi, precisa il dossier, non sono altissimi e gli straordinari progressi compiuti negli ultimi anni da paesi come Cuba, Sri Lanka e Siria lasciano ben sperare. Si stima, ad esempio, che nell’Africa Sub-Sahariana l’applicazione di un "pacchetto-minimo" di interventi essenziali, in grado di ridurre la mortalità infantile di oltre il 30 per cento e la mortalità materna di oltre il 15 per cento potrebbe avere un costo aggiuntivo, rispetto ai programmi attuali, di due-tre dollari pro capite. E con un costo di 12-15 dollari a persona sarebbe possibile applicare misure ancora più complete e continue, in grado di consentire una riduzione della mortalità infantile e di quella materna del 60 per cento.