Nauru, isola del pacifico un tempo era considerata soprattutto per le sue riserve di fosfati, da qualche anno viene utilizzata  utilizzata dal governo australiano quale centro di detenzione off-shore per i richiedenti asilo che arrivano con imbarcazioni. L’isola è molto piccola e ospita meno di 10.000 persone. Nauru è una sorta di stato cliente a cui l’Australia offre servizi. A fine giugno erano conteggiate 442 persone di cui 338 uomini, 55 donne e 49 bambini. L’altro centro off-shore in mare aperto: Manus island, in Papua Nuova Guinea, ospitava, alla stessa data 854 persone, tutti uomini.
Questi  centri di detenzione parte integrante della politica australiana sull’immigrazione, sono ampiamente e regolarmente criticate da parte delle Nazioni Unite. La gestione di questi due centri costa 1,2 miliardi di dollari australiani all’anno.
Fino ad ora  si sapeva molto poco, l’accesso è strettamente controllato e degli eventi e accadimenti nell’isola erano segnalati in modo sporadico.
I file di Nauru fatti pervenire alla stampa consentono, finalmente,  di aprire uno squarcio sulla  realtà dei richiedenti asilo che il governo australiano detiene in attesa delle decisioni delle autorità . La segretezza è parte integrante della gestione di Nauru : scattare foto o portare uno smartphone con fotocamera è vietato.
I file  segnalano tra maggio 2013 e ottobre 2015 ben 2.116 rapporti, per complessive 8.000 pagine,  sugli incidenti che hanno visto il coinvolgimento dei richiedenti asilo. Abusi, maltrattamenti, violenze sessuali, episodi di autolesionismo, condizioni di vita difficili sopportate dagli immigrati.
I file rivelano che la metà dei rapporti schedati, riguardano i bambini, per un totale di 1.086 incidenti pari al 51,3%, anche se questi rappresentino solo il 18% di quelli in stato di detenzione. Questi dati sono stati fino ad ora ignorati dal governo australiano ed è probabile che la pubblicazione di questi dati ora inchiodi il governo di fronte alle sue responsabilità in materia di immigrazione, accoglienza e trattamento alle migliaia di persone che via mare cercano di raggiungere le coste australiane.