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Il rischio di un Africa sempre più instabile

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Ci sono due volti dell’Africa, rappresentati da altrettante correnti di pensiero: gli afro-ottimisti e gli afro-realisti. I primi annunciano un incipiente risorgimento africano, l’unico scacchiere, insieme all’Asia, non in recessione ma in ascesa.  Entro il 2015 saranno africani 7 dei 10 Stati a maggiore crescita e si prevede che il Pil del continente passerà dagli attuali 2 mila miliardi di dollari a 30 mila nel 2050, quando l’Africa conterà un abitante su quattro del pianeta.
Gli afro-realisti sottolineano altri fenomeni: come la dissoluzione dei confini statali ereditati dal colonialismo e l’avanzata di gruppi armati ispirati a un Islam radicale alimentato dalle tensioni interne ma anche dall’afflusso esterno di finanziamenti a scuole coraniche che diffondono uno stile di vita arabizzante. È in atto una “colonizzazione islamista” con risvolti paradossali, come la costruzione di moschee in Paesi, per esempio il Congo, dove non ci sono neppure dei musulmani.
È di questa Africa destabilizzata che è rimasto vittima l’ingegnere italiano Silvano Trevisan, sequestrato nell’attacco a un cantiere nello stato nigeriano di Bauchi rivendicato dall’Ansaru, l’Avanguardia per la protezione dei musulmani nell’Africa Nera, misteriosa ala separatista della setta Boko Haram, forse già responsabile del rapimento e dell’uccisione l’anno scorso di un altro ingegnere italiano, Franco Lamolinara, ammazzato, insieme a un collega inglese, durante un disastroso blitz dei servizi segreti nigeriani.
La frammentazione africana era prevedibile, molti di questi Paesi non sono mai diventati degli Stati e minacciano di non esserlo mai.  Come abbiamo visto in Mali, come sta accadendo tra il Niger, la Nigeria e il Ciad – oltre al caso stranoto della Somalia, travolta da una cronica anarchia – una parte del continente perde i pezzi su una mappa dove i confini sono talmente liquidi da non essere neppure più reali, data la rilevanza dei flussi di migranti, viaggiatori e guerriglieri che li attraversano.
Lo spazio apparentemente vuoto del Sahara è diventato negli anni il punto di partenza dell’offensiva guidata da Al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) e dai suoi alleati che adesso fronteggiano l’intervento francese. Ma è proprio guardando le frontiere del Mali, confinante con sette Paesi, che si comprende il raggio dell’influenza islamista e il suo obiettivo più importante. Secondo la newsletter “Africa Confidential”, dopo il Mali il prossimo obiettivo è la Mauritania (fosfati e miniere), poi toccherà al Niger (uranio) ma il bersaglio grosso resta la Nigeria dove i ribelli Boko Haram e affiliati hanno ricevuto armi e addestramento da Al-Qaeda.
La Nigeria, 160 milioni, 400 etnie federate in 36 stati di cui alcuni sultanati, è il gigante della regione per le enormi risorse e la presenza di importanti investimenti petroliferi internazionali nel Delta del Niger dove agisce la guerriglia. I Boko Haram, in pidgin e arabo il Libro Proibito, esprimono il rifiuto di ogni insegnamento occidentale e nel contrasto tra Nord musulmano e Sud cristiano sono stati ampiamente stumentalizzati e trasformati in una sorta di mostro capace di sfruttare cinicamente l’Islam e la povertà: questa è la vera e persistente frattura di un Paese dove più del 60% vive con meno di 2 dollari al giorno e la metà non va scuola, neppure a quelle coraniche.

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