Nessun essere umano è sprovvisto di una sua visione del
mondo, cioè di una sua filosofia; e che, di conseguenza, nessun popolo e
nessuna cultura o civiltà possono essere privi di un proprio pensiero
filosofico e di un proprio atteggiamento filosofico nei confronti della realtà.
Per favorire la conoscenza e la reciprocità è necessario conoscere
e non comparare. Comparare presuppone che io “raffronto” sulla base di un mio
modello interpretativo e codificato e questo porta inevitabilmente a
identificare delle analogie che servono poi ad omologare il proprio pensiero.
presuppone invece uno sforzo di
acculturazione , di contatto intimo con il pensiero e il modo di agire della
cultura altrui. Senza questo in genere si condanna ciò che, nella cultura
altrui, risulta diverso, come se fosse
essenzialmente inferiore, insensato, senza significato e dunque senza valore. Per
questo la filosofia potrebbe aiutarci veramente a favorire quei processi
interculturali necessari per favorire lo sviluppo di una cultura della
reciprocità.
sottomette il mondo, Dio o la società al giudizio della sua ragione. L’ “Africano”
– scrive L.S. Senghor – non assimila, viene assimilato. Egli vive una vita
comune con l’Altro; vive in simbiosi…Descartes diceva ”penso dunque sono”…L’Africano
direbbe “sento, danzo l’Altro; dunque siamo”. L’africano è perfettamente capace
di pensieri scientifici, matematici, metafisici… ma non ne sente l’importanza,
anzi l’utilità per la sua esistenza quotidiana .
Per altro, anche i filosofi
occidentali smettono generalmente di pensare in modo filosofico quando tornano
a casa.
La foto rappresenta un "kisi" un feticcio africano. Per gentile concessione del Museo africano di Verona