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Economia e Sviluppo sostenibile Dopo la crisi finanziaria, che fine fanno gli aiuti agli sviluppo?

 

Riportiamo un contributo di Leonardo Becchetti, professore straordinario di economia politica all’Università di roma Tor Vergata. Ci sembrava doveroso aprire una finestra sulle conseguenze di questa crisi finanziaria che corre il rischio di far arretrare ulteriormente quei paesi, in genere del Sud del Mondo, che in questi anni stavano facendo passi avanti nella lotta alla povertà.

 

Per approfondire  si consiglia una visita al sito web: http://www.benecomune.net

 

 

La crisi finanziaria globale dimostra una volta per tutte che il sistema economico non funziona senza valori. Le regole, anche quelle migliori, non ci salvano senza la nostra attiva collaborazione al bene comune. L’ossessione dei risultati a breve in istituzioni finanziarie che gestiscono strumenti di cui solo pochi conoscono le reali caratteristiche spinge a comportamenti che pospongono o nascondono sotto al tappeto i rischi corsi, mettendo a rischio la sopravvivenza delle istituzioni stesse.

E quando la crisi scoppia la mancanza di fiducia tra intermediari finanziari, e dei cittadini nei confronti delle banche, paralizza il sistema.

Il problema è che il mercato non genera di per sé le virtù (fiducia interpersonale e tra istituzioni, senso civico e morale) necessarie per sorreggerlo. E, ancor più prosaicamente, che le risorse che oggi gli stati utilizzano o accantonano per fronteggiare la crisi rischiano di spiazzare le iniziative in cantiere per la sostenibilità ambientale e la lotta alla povertà.

Alcuni esempi. Le istituzioni internazionali calcolano che per rispettare l’impegno di dimezzare la povertà entro il 2015, sancito dagli Obiettivi del Millennio, sarebbero come minimo necessari 50 miliardi di dollari all’anno. Chi dovrebbe contribuire ha dovuto costruire un fondo di 700 miliardi di dollari (gli USA) e un sistema di garanzie del valore complessivo di più di 2000 miliardi di dollari (l’ Unione Europea) per fronteggiare la crisi finanziaria. Gli stessi obiettivi di contenimento delle emissioni di anidride carbonica presi in sede europea sembrano scricchiolare di fronte alla nuova emergenza.

In questo nuovo scenario nel quale le resistenze ad indirizzare la spesa pubblica degli stati nazionali verso la sostenibilità dello sviluppo aumenteranno è fondamentale richiamare gli stessi alle loro responsabilità. E’ altresì necessario allargare il gioco attingendo da due fonti principali: i “giacimenti� di solidarietà della società civile e il desiderio delle imprese, soprattutto le istituzioni finanziarie, di riaccreditarsi presso i cittadini per riconquistare la loro fiducia.

La letteratura scientifica sta da tempo esplorando queste soluzioni. Nei paradisi fiscali (i “buchi neri� del sistema finanziario) sarebbe possibile, tassando il patrimonio dei soli depositi di persone fisiche, ricavare 250 miliardi l’anno (cinque volte la cifra indicata dalle istituzioni internazionali per le risorse aggiuntive nella lotta alla povertà). Una tassa sulle transazioni internazionali finanziarie potrebbe raccogliere somme vicine ai 150 miliardi l’anno ma sarebbe esposta ai ben noti problemi di necessità di applicazione in tutti i paesi e di rischi di traslazione dell’imposta sui cittadini. In una situazione come quella di oggi però non è affatto escluso che molti intermediari finanziari, per riconquistare il prestigio perduto, aderirebbero a forme di tassazione volontaria delle transazioni per lo sviluppo (un altro modo di fare responsabilità sociale d’impresa). Non potendo esplorare tutte le ipotesi (lotteria globale per lo sviluppo, emissioni obbligazionarie per i vaccini, ecc.) ci soffermiamo sul potenziamento delle iniziative della società civile. La crescita di fenomeni come microfinanza e consumo solidale attraverso i quali i cittadini “votano con il portafoglio� porta nuove risorse con quattro vantaggi fondamentali. La partecipazione dal basso, le capacità di contagio di altri agenti economici che cercano di conquistare il nuovo target di clienti, lo stimolo alla creazione di quelle virtù civiche di cui il mercato ha bisogno e l’aumento delle potenzialità del mercato stesso, in grado di risolvere non più soltanto i problemi di efficienza, ma anche, parzialmente, quelli di equità e promozione delle pari opportunità. 

 

Le turbolenze della crisi proseguiranno almeno fino a quando non si riuscirà a ridare tono al mercato secondario dei derivati sul credito (circa 58000 miliardi di dollari che hanno perso quasi metà del loro valore) attraverso garanzie pubbliche e iniezioni di fiducia a banche e cittadini. Affrontando in un secondo tempo i gravi buchi della regolamentazione di Basilea II che ritiene paradossalmente più rischiosi i prestiti alle parrocchie o alle piccole imprese delle operazioni di finanza creativa, di fatto non sottoposte a requisiti patrimoniali.

Per risolvere le cause profonde dobbiamo però attingere alla tradizione feconda della dottrina sociale che ci ricorda che la persona è sia individuo che nesso di relazioni e che la realizzazione della propria vita passa attraverso l’esercizio di virtù che generano rapporti fiduciari.

Il premio nobel Akerlof dimostra che nelle imprese di successo la scintilla scatta quando i partecipanti dell’attività produttiva si “scambiano doni�, ovvero fanno qualcosa in più per l’altro di quanto contrattualmente stabilito. La crisi ci insegna che questi ingredienti, assieme al ruolo indispensabile dei contratti, sono fondamentali per il funzionamento degli ingranaggi economici. Nello sviluppare queste riflessioni la commissione Giustizia e Pace sottolinea che dall’incontro di Doha, promosso dalle Nazioni Unite per discutere dei problemi internazionali alla luce della situazione finanziaria, deve uscire una nuova alleanza tra istituzioni, imprese e cittadini di buona volontà. Identificando regole e comportamenti per promuovere la dignità della persona e porre le condizioni per una felicità sostenibile. 

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