Dumabnengue in Mozambico e Informal Market in Uganda rappresentano i mercati di strada, le micro attività economiche in cui sono prevalentemente impiegate le donne, i giovani, i bambini. Comunemente in Africa queste attività vengono classificate come economia informale. Vorremmo qui presentare un articolo di Serge Latouche utile e interessante per favorire una chiave di lettura dell’economia informale che noi di Time For Africa condividiamo.
[…] “Se si ha una visione centrata sullo sviluppo, una visione economicistica, cioè se si pensa che lo sviluppo sia universalizzabile e che non ci sia salvezza al di fuori di una crescita economica vigorosa, allora si può avere sull’informale africane solo un punto di vista negativo e nel migliore dei casi condiscendente. Di fronte alla evidenza dei successi di certi “imprenditori a piedi scalzi”, si riconoscerà con simpatia il trionfo del bricolage. Tuttavia si vedrà sempre in questo informale una economia di espedienti in mancanza di meglio. Valutando l’informale con il metro della economia dominante occidentale, e nell’orizzonte dello sviluppo, riducendo la socialità a un aspetto pittoresco, complementare o ausiliare alla sola cosa importante, l’economia, si sarà tentati di vedere questa realtà atipica come una sorta di succedaneo alla economia e allo sviluppo, se non come uno sviluppo spontaneo, alternativo, locale. Ridicolo o rispettabile, ma sempre in mancanza di meglio, cioè in attesa di accedere alla terra promessa della modernità, della economia ufficiale e del vero sviluppo.
Insomma, si vedrà nell’informale solo una figura della transizione. Non vedrà l’informale come uno laboratorio del doposviluppo.
Vedere l’altra Africa, significa vedere l’informale in positivo, vederlo positivamente, di per se stesso per quanto possibile, cioè in funzione delle sue proprie norme, e non commisurato al paradigma dello sviluppo. Si tratta di vedere con occhio diverso il modo stupefacente in cui sopravvivono gli esclusi dal mondo ufficiale”.
Tratto da: L’altra Africa. Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, 2000
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