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Colpo di stato in Mali:come ci siamo arrivati?

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Martedì  18 agosto in Mali,  i militari hanno preso il potere e hanno spinto il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keïta a dimettersi. Questo è stato l’epilogo di diversi mesi di tensione provocata da una profonda crisi politica e da un  clima di insicurezza legato i n particolare agli attacchi jihadisti.  Ricordiamo che tra marzo e aprile di quest’anno, nonostante la comparsa del corona virus, vengono organizzate le elezioni legislative. Operazioni di voto segnate dai rapimenti di agenti elettorali,  saccheggio dei seggi elettorali, dall’esplosione di una mina  che ha provocato nove morti e soprattutto dal rapimento del leader dell’opposizione Soumaïla Cissé, avvenuto il 26 marzo, poco prima del primo turno elettorale.

Dopo che la Corte Costituzionale ha annullato una trentina di risultati, di cui dieci a favore  del partito del presidente “IBK” , si accende la rabbia dell’opposizione che inizia ad organizzarsi. Il 30 maggio, con l’influente voce dell’imam conservatore Mahmoud Dicko, i partiti di opposizione stringono un’alleanza senza precedenti contro il presidente. Ne denunciano l’impotenza delle scelte sul fronte della sicurezza, dell’economia e dell’uso della Corte Costituzionale.

Il 5 giugno una grande manifestazione di protesta contro il presidente Keità. La coalizione  riunita nel “Movimento 5 giugno”, composta da oppositori, leader religiosi e personalità della società civile chiederà a gran voce le dimissioni del Capo dello Stato, accusando lui e il suo entourage di corruzione e nepotismo. Per tutta risposta il capo dello Stato rinnoverà a Boubou Cissé la carica di primo ministro con il compito di formare il nuovo governo che apre per un possibile governo di unità nazionale.

Il 19 giugno una nuova e grande manifestazione per richiedere le dimissioni di Keita il quale reagisce con gesti di pacificazione come quello di nominare al Senato i candidati legislativi inizialmente dichiarati vincitori e poi dati per sconfitti dalla Corte Costituzionale. A seguire il 10 luglio il Movimento 5 giugno organizza una nuova manifestazione di “disobbedienza civile”, degenerata in attacchi contro il Parlamento e contro la televisione nazionale. Seguono tre giorni di scontri e disordini, L’opposizione  parla di 23 morti e più di 150 feriti. Il 18 luglio il movimento di protesa respinge il compromesso proposto dall’ex presidente nigeriano Goodluck Jonathan che prevedeva il mantenimento al potere del Capo dello Stato. Il Movimento 5 giugno annuncia una tregua in vista della festa musulmana di Eid al-Adha.

Il 27 luglio i leader della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) invitano i maliani alla “sacra unione”, minacciando sanzioni a coloro che si oppongono al  piano per porre fine alla crisi, che prevede il mantenimento del presidente Keïta al potere, sostenendo un governo di unità e nuove elezioni legislative parziali.

Ma due giorni dopo, il piano subisce una triplice battuta d’arresto: l’opposizione chiede ancora la partenza del presidente e rifiuta la mano tesa dal premier. Una trentina di deputati, la cui elezione è contestata, rifiutano da parte loro di dimettersi come richiesto dai leader dell’Africa occidentale.

La protesta riprende il 12 agosto, con migliaia di persone radunate a Bamako per chiedere le dimissioni del presidente. Il giorno successivo, la protesta respinge una proposta di Goodluck Jonathan per un incontro con il presidente Keïta.

Il 17 agosto l’opposizione ha annunciato nuove manifestazioni per chiedere la partenza del presidente, culminate con l’occupazione di un luogo simbolico nel cuore di Bamako. Il giorno successivo scoppia un ammutinamento nella guarnigione militare di Kati, vicino a Bamako. I soldati poi fraternizzano con i manifestanti e poi arrestano il presidente Keïta e il suo primo ministro Boubou Cissé a Bamako.

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