Una grave minaccia per la pace dell’Africa Orientale arriva di nuovo dal Burundi, paese che dall’indipendenza al 2005 ha conosciuto innumerevoli Colpi di Stato.
Il Burundi
Il Burundi è uno piccolo stato che si trova nella regione dei Grandi Laghi in Africa Orientale. Già colonia tedesca e poi belga ha raggiunto l’indipendenza nel 1962 e dal 1966 è diventata repubblica presidenziale. Il paese conta dieci milioni di abitanti, densamente popolato e composto da etnie Hutu e Tutsi. La popolazione, che vanta la più rapida crescita del mondo (8%), dipende per il 90% dall’agricoltura. La democrazia burundese, nel corso degli anni, è sempre stata sotto attacco con continui colpi di stato e con continue riscritture della Costituzione. Dal 2005 ad oggi il Burundi è governato da Pierre Nkurunziza, espressione del partito CNDD-FDD. Giunto alla fine del secondo mandato, il presidente uscente ha deciso di farsi rieleggere. Questo ha messo in moto una protesta che ha assunto anche toni violenti e con un tentativo, l’ennesimo, di colpo di stato.
I fatti
Giovedì 14 maggio ,l’odore della polvere da sparo ha invaso le strade di Bujumbura, capitale del Burundi. Il giorno prima il generale Godefoid Nyombare di 46 anni, ha approfittato di un viaggio del Presidente in Tanzania per rimuoverlo. L’ennesimo tentativo di colpo di stato. Il generale ha giustificato questo tentativo per il bene del paese contro il “cinismo e sadismo del presidente verso il popolo del Burundi” . Nel suo discorso su una radio privata, ha denunciato l’atteggiamento “incendiario in grado di minare l’unità nazionale” . Nel corso di questo tentativo di colpo di stato ci sono stati combattimenti nella capitale tra le forze di sicurezza lealiste del presidente. Il colpo di stato è per ora fallito mentre cresce la fuga delle popolazioni verso la Tanzania attraverso il lago Vittoria.
Perché il colpo di stato
Questo tentativo di golpe, non è una sorpresa, la tensione si era accumulata nel corso delle settimane precedenti a seguito dell’investitura, la terza, di Pierre Nkurunziza, alle elezioni presidenziali previste per il 26 giugno. L’annuncio ha innsecato forti proteste della società civile e dell’opposizione ritenendo il terzo mandato una violazione della Costituzione e degli accordi di pace di Arusha del 2000 che hanno messo fine alla guerra civile. Queste proteste hanno portato in strada migliaia di oppositori con conseguenti violenze e centinaia di arresti, e la chiusura delle stazioni radio private. Per tacitare la protesta, un gruppo di senatori del partito di governo ha chiesto alla Corte Costituzionale di decidere in merito alla legittimità del terzo mandato. La decisione è stata favorevole ma il vice presidente della Corte è fuggito dal paese denunciando “la pressione enorme incluso minacce di morte”.
Il tentativo di colpo di Stato può essere considerato una risposta per contrastare il potere del Presidente?
Impossibile dirlo, il rischio di rimettere in moto una escalation è reale. La guerra civile è stata una costante nel processo di consolidamento della democrazia . La pace è sempre stata molto fragile . Il primo presidente democraticamente eletto nel 1993, è stato assassinato dopo solo tre mesi in carica. Questo ha scatenato una guerra civile che ha lasciato oltre 300.000 morti in tredici anni. I conflitti passati sono per lo più stati opera dei ribelli Hutu o dell’esercito composto da Tutsi. Composizione etnica simile a quella del vicino Ruanda. Dopo la guerra del 2005 gli Hutu hanno alla fine eletto l’attuale presidente Pierre Nkurunzinza.
Si tratta di un problema tra Hutu e Tutsi come in Ruanda?
Al momento i manifestanti sono scesi in piazza per protestare contro il terzo mandato del presidente tutte le etnie. A differenza poi dei passati golpe, questi sono stati istigati da ufficiati tutsi, mentre questa volta il presidente è stato “minacciato” da un generale hutu e, soprattutto, dalle file degli ex ribelli hutu. Questo è il segno di una alleanza politica che trascende dalle linee etniche. Il generale Niyombare è considerato moderato e persona di dialogo. All’inizio della protesta l’esercito aveva mostrato un atteggiamento neutrale rispetto alla polizia, accusata invece di essere asservita al partito di governo. Durante le manifestazioni , i militari si sono spesso interposti tra manifestanti e polizia, impedendo che la situazione degeneri.
Qual è il pericolo allora?
In primo luogo i militari burundesi non formano un insieme omogeneo. Da quando è iniziata questa contestazione al potere governativo, i militari si dividono in golpisti e lealisti ma senza prendere una posizione politica pubblica. Secondo Thierry Vircoulon, dell’International Crisis Gropu (IGC), autore anche di un recente rapporto sul Burundi, spiega che ci sono “ due concezioni della neutralità politica attraverso l’esercito: uno è che i militari non devono discutere gli ordini del potere politico. La seconda che i militari non dovrebbero essere coinvolti nelel lotte politiche”. Ora dopo il tripudio della fase iniziale del fallito golpe, la lotta ha scosso la capitale e la preoccupazione è forte tra la popolazione su quanto può succedere. La situazione potrebbe peggiorare anche peerchè il problema non è legato al fatto che in questi anni di relativa pace i problemi si siano risolti. Al contrario la questione dell’acceso alla terra (problema anche per effetto dell’elevato tasso di densità della popolazione), è molto sensibile e può essere sfruttato per far rivivere le tensioni etniche. Ora, se il tentativo del colpo di stato ha suscitato gioia del movimento per le strade di Bujumbura, c’è da dire che queste sono state confinate in gran parte solo nella capitale. Le popolazioni rurali invece hanno reagito fuggendo all’estero e in particolare in Tanzania anche perché prima del tentativo di colpo di stato, le milizie giovani “Imbonerakure” del partito del presidente hanno mandato messaggi molto chiari alle popolazioni avvertendole che “tutti coloro che sfidano il terzo mandato del presidente saranno uccisi”. Un rifugiato in Tanzania ha detto che i giovani delle milizie hanno dipinto segni rossi sulle case della gente considerata non allineata al presidente.
I paesi vicini, che cosa pensano?
Sono preoccupati e lo manifestano all’ International Crisis Group. “Il ritorno alla violenza oltre a fermare il processo di pace e convivenza pacifica delle popolazioni burundesi, avrebbe implicazioni regionali destabilizzanti”. La violenza, continua la ONG (ICG),potrebbe alimentare una crisi regionale in forma dinamica a partire dalle nuove ondate di profughi che potrebbero destabilizzare la regione dei Grandi Laghi. Questa sub-regione, già densamente popolata farebbe molta difficoltà a sopportare nuovi e massicci flussi di rifugiati provenienti dal Burundi. Oltre a questo c’è la possibile infiltrazione di miliziani Hutu legati a Interahmwe, una delle principali milizie responsabile dei massacri di Tutsi in Ruanda.