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Arte e Diplomazia di T. Nevin, Mail and Guardian (Sud Africa)

Il ritorno in Sud Africa di una serie di opere della cosiddetta “township art� di Pretoria raccolte da un diplomatico australiano negli anni ’70 sta ispirando altri collezionisti stranieri in possesso di opere d’arte o documenti del periodo dell’apartheid a fare lo stesso. I musei sudafricani sperano ora nel ritorno dei pezzi d’arte “perduti� del periodo più buio della storia del Paese.

 

La collezione restituita era stata messa assieme da Diane Johnstone, addetta alla segreteria dell’ambasciata australiana in Sud Africa dal 1973 al 1976, comprendente 17 opere rappresentanti la politica o più semplicemente la vita nelle township sudafricane come quella di Mamelodi o Hammanskraal (a 20km da Pretoria).

L’allora giovane diplomatica Diane Johnstone arrivò in Sud Africa nel 1973 e si interessò fin da subito ai giovani artisti delle township nei dintorni di Pretoria, sfidando il regime dell’epoca e le sue minacce: basti pensare che quando organizzò una piccola mostra delle opere da lei raccolte nel suo appartamento, il giorno successivo le fu recapitato lo sfratto con effetto immediato.

Raccogliendo questi lavori, non solo li ha salvati da distruzione certa, ma ha anche ispirato i giovani autori a perseverare e continuare a dare libero sfogo alla loro arte nonostante la situazione dettata dal regime bianco fosse pressoché insostenibile.

Prima della fine del suo incarico promise a questi artisti che, qualora la maggioranza di colore fosse arrivata al potere, si sarebbe adoperata per riportare le opere in suo possesso al loro Paese d’origine, in modo da essere visibili a tutti. Non essendo convinta (erroneamente) di riuscire a vedere quel momento con i suoi stessi occhi, mise tutto accuratamente per iscritto nel suo testamento.

Diane Johnstone lavora tutt’ora presso il Dipartimento degli Affari Esteri australiano, Sezione Commercio e spesso si chiede cosa abbia innescato questo suo interesse per l’arte contemporanea delle township sudafricane, non essendo lei artista o esperta d’arte. La risposta la trova nel fatto che le opere da lei acquistate racchiudevano i sentimenti e le emozioni di persone provenienti da posti terribili, senza speranza, che vivevano in totale oppressione e povertà, ma che al tempo stesso erano capaci di trasformarsi in artisti di talento, dando origine ad una forma d’arte piena di passione.

Nella collezione figurano i nomi di artisti ora internazionalmente riconosciuti come Hugh Nolotshungu, David Mbele, Ezekiel Madiba e Michael Zondi. Solamente una delle opere contiene un messaggio apertamente politico e si intitola “Apartheid Kills� (l’apartheid uccide) di Benedict Martins, mentre le altre rappresentano la vita ed il mondo rurale delle township.

Numerosi esperti di arte sudafricana affermano che la maggior parte delle opere realizzate nelle township durante il periodo dell’apartheid è svanita, acquistata da diplomatici o commercianti stranieri e portata fuori dal Paese. Ironicamente, è stato proprio grazie a questi acquirenti stranieri che ci è oggi possibile ammirare questi lavori, che altrimenti sarebbero quasi sicuramente andati persi o eliminati completamente dalla scena.

Infatti a quel tempo i bianchi sudafricani non avrebbero mai acquistato pezzi di artisti di colore e nemmeno le grandi istituzioni come l’Università di Pretoria o la Reserve Bank potevano permettersi di appoggiare quegli artisti così apertamente da acquisire le loro opere.

La collezione Johnstone è stata restituita al sindaco di Pretoria, Smangaliso Mkhatshwa, durante una cerimonia alla quale ha preso parte anche il commissario australiano in Sud Africa Ian Wilcock ed è stata sistemata in mostra permanente al Pretoria Art Museum.

Anche altri collezionisti, che desiderano rimanere anonimi, hanno espresso la volontà di restituire (a titolo gratuito) almeno parte di questo importantissimo patrimonio, a patto che possa essere reso accessibile a tutti i sudafricani.

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