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Appello per la pace nel Kivu

Chiama l’Africa oltre all’appello di pace da diffondere e sottoscrivere, promuove un presidio a Roma per richiamare l’attenzione dei parlamentari affinché l’Italia, nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, eserciti un ruolo attivo per promuovere la pace nella RD del CONGO.

Ecco il testo dell’appello da sottoscrivere a info@chiamafrica.it

Per la pace nel Kivu

Interventi politici urgenti oltre l’emergenza umanitaria

L’offensiva lanciata nel Nord Kivu dal CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo), un esercito irregolare sotto il comando del generale Laurent Nkunda, attestatosi alle porte della città di Goma, costringe ancora una volta la popolazione inerme a prendere la strada della fuga. Non si sa con certezza quanti siano questa volta i profughi che hanno dovuto abbandonare le loro case. Certamente si tratta di centinaia di migliaia che vanno ad aggiungersi al milione di persone già censite come sfollati dalle agenzie umanitarie. La Comunità internazionale sta riconoscendo che si tratta di una nuova catastrofe umanitaria e si sta mettendo in moto per l’invio di aiuti di emergenza.

Resta tuttavia il problema politico delle cause di questa nuova guerra e dei problemi lasciati irrisolti, nonostante le elezioni nella Repubblica Democratica del Congo e i tanti accordi non rispettati firmati dalle parti in causa.

Sono tanti gli attori di questa nuova crisi. Da una parte il Governo congolese, che nel Kivu ha ottenuto con le elezioni del 2006 un grandissimo consenso, perché la popolazione sperava che sarebbe stato capace di portare la pace e il diritto dopo tanti anni di guerra.

Dall’altra il generale Nkunda, che ha rifiutato di integrarsi con il suo gruppo armato nell’esercito regolare congolese, come prevedevano gli accordi firmati. Di più, durante questi anni, l’armata di Nkunda è andata sempre più rafforzandosi, anche con l’aiuto di forze esterne al paese, primo fra tutti il governo ruandese. Nkunda in questo momento ha anche il controllo amministrativo delle zone conquistate.

E’ in campo anche l’Onu, con una presenza massiccia di militari (17.000, di cui 8.000 nel Kivu) che avrebbero il compito di assicurare il rispetto degli accordi presi, ma che sempre più, nonostante il mandato ricevuto in base al capitolo VII dello Statuto delle Nazioni Unite, non riesce a garantire l’osservanza di questi accordi, suscitando così la reazione della stessa popolazione, che si sente non protetta e abbandonata.

Sullo sfondo di tutto la ricchezza di questo territorio, definito “scandalo geologico”, che ha fatto dire ai vescovi congolesi che questa guerra è un “paravento” che nasconde lo sfruttamento indiscriminato delle risorse.

A subire questa tragedia resta la popolazione inerme, stremata da una lunghissima guerra che ha fatto oltre quattro milioni di vittime e delusa nelle proprie speranze più profonde dopo aver partecipato in massa e con entusiasmo al processo elettorale.

I problemi e le sfide sul campo sono tanti: la costruzione di uno stato di diritto nella Repubblica Democratica del Congo, dopo una lunghissima guerra e la dittatura di trent’anni circa di Mobutu; la qualificazione dell’esercito della Repubblica Democratica del Congo, impreparato e corrotto, con i militari malpagati o non pagati, i quali trovano il loro mantenimento vessando la popolazione; la difficoltà di mettere insieme in un unico esercito gruppi armati che per anni si sono combattuti tra loro; la presenza nel territorio congolese di profughi hutu rwandesi e dei loro figli che si sono rifugiati in questo territorio dopo il 1994 e che non possono essere semplicemente definiti tutti come Interahamwe e responsabili del genocidio ruandese; l’entrata in campo di nuovi soggetti che vogliono partecipare allo sfruttamento delle ricchezze del territorio, primo fra tutti la Cina, con la quale il Governo congolese ha da poco stipulato un accordo; la probabile ingerenza di paesi confinanti, primo fra tutto il Ruanda, che alcuni affermano aspiri ad impadronirsi di questo territorio anche tenendo conto della sovrappopolazione che l’affligge.

Noi sappiamo che, nonostante questi problemi irrisolti e la grande delusione dopo le elezioni, la gran parte della popolazione ha ancora la volontà di costruire una convivenza pacifica, uscendo definitivamente dalla guerra. Donne e uomini che si organizzano per resistere, per tentare di trovare non solo i mezzi per la sopravvivenza, ma anche e soprattutto strade di riconciliazione e di pace. E’ su queste persone, crediamo, che si deve contare per iniziare un’inversione di marcia che ponga le basi di una pace stabile.

Nel frattempo occorre dare voce alla politica, cominciando da alcuni punti fermi:

• Organizzare con urgenza l’azione umanitaria per rispondere all’emergenza;

• Partire dagli accordi firmati tra le parti. Occorre che la Comunità internazionale si mobiliti perché siano attuati. Ci riferiamo in particolare agli accordi di Nairobi del novembre 2007 (disarmo dei gruppi armati dei profughi hutu ruandesi) e l’accordo firmato a Goma nello scorso mese di gennaio che dava vita al “Progetto Amani” per il disarmo di tutti i gruppi armati;

• Rafforzare la presenza delle Nazioni Unite, sia ribadendo ill mandato in base all’art. 7, sia unificando le regole di ingaggio dei contingenti delle Nazioni Unite presenti nel Kivu, sia qualificando maggiormente il personale anche con l’invio di contingenti provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti, che non possono delegare ad altri questa responsabilità. La Monuc deve infatti poter svolgere il compito che le è assegnato, cioè quello di far rispettare gli accordi e proteggere la popolazione. Anche fermando le truppe irregolari di Nkunda che stanno occupando il territorio;

• Garantire la trasparenza delle concessioni minerarie e di legname affinché siano bloccate le transazioni illegali, e anche la popolazione possa godere del frutto di queste immense ricchezze;

• Arrivare ad accordi stabili per evitare sconfinamenti da parte dei paesi confinanti;

• Risolvere definitivamente il problema della presenza nel Kivu dei profughi hutu rwandesi, distinguendo le responsabilità e non colpevolizzando l’intera comunità. Uno degli elementi dello stato di diritto è il r
iconoscimento della soggettività della colpa e della pena;

• Far rispettare la legalità internazionale attraverso l’esecuzione dei mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale e la valutazione da parte della medesima corte se esistano gli estremi per emettere un mandato di arresto nei confronti di Laurent Nkunda e di altri combattenti;

• Partendo dalla sofferenza delle persone colpite, instaurare un dialogo ad oltranza che ridoni fiato alla politica e blocchi ogni scorciatoia di violenza armata;

• Proprio per questo decidere una moratoria nella vendita di armi per i paesi della Regione, primi fra tutti la Repubblica Democratica del Congo, il Ruanda e l’Uganda;

• Sostenere gli sforzi della società civile organizzata affinché possa svilupparsi sempre più il processo di riconciliazione e di perdono reciproco.

 

Facciamo appello all’Italia, che è membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, perché svolga un ruolo attivo in quella sede e all’Europa, che ha in gran parte finanziato il processo elettorale affinché vengano rispettati i diritti delle persone, sviluppata la democrazia, fermata ogni aggressione armata e finalmente raggiunta la pace.

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